Finitela di vendere sogni da 100.000 euro. L’Hi-Fi deve tornare reale.

Elettroacustica Milano
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Finitela di vendere sogni da 100.000 euro. L’Hi-Fi deve tornare reale.

Eamlab Elettroacustica Milano
Pubblicato da Emanuele Pizzi in l'Hi-Fi e le generazioni di oggi · 30 Giugno 2025
Hi-Fi High-End: Crisi di un Mito, Tra Illusioni, Vintage e Realtà
Un’analisi schietta e senza filtri, dal punto di vista di chi questo settore lo vive da dentro da oltre 40 anni.  IO !
È notizia recente che uno dei marchi più iconici e rappresentativi dell’hi-fi high-end mondiale, MBL, è entrato ufficialmente in liquidazione. Non si tratta di un caso isolato. Negli ultimi anni, altri nomi storici come DartZeel, oppure la stessa McIntosh, che è passata da un fondo d’investimento all’altro nel tentativo di rimanere redditizia, si sono trovati a dover affrontare una realtà molto diversa da quella che avevano conosciuto nei loro anni d’oro.
Il settore dell’alta fedeltà di fascia alta è entrato in una crisi profonda. Non si tratta solo di difficoltà economiche o di cali di vendite: è qualcosa di più profondo, più strutturale. Una crisi di identità, di senso, di direzione.
Io mi chiamo Emanuele Pizzi, titolare di Eamlab, e da oltre quarant’anni progetto e costruisco elettroniche audio di alto livello. Ho visto passare tutto: i tempi d’oro dell’hi-fi, le prime crisi, la rivoluzione digitale, le mode del vintage, i boom e i crolli.
Quello che sta succedendo oggi, però, è qualcosa che va ben oltre il normale ciclo economico. È una trasformazione radicale che sta mettendo in discussione le fondamenta stesse del concetto di alta fedeltà.
E credo sia il momento giusto per parlarne. Senza filtri. Senza ipocrisie. Guardando la realtà per quella che è.


La crisi è culturale, non solo economica
Una volta l’ascolto musicale era un rito. Si dedicava tempo, spazio, attenzione. Oggi la musica è sempre presente, ma come sottofondo, come consumo veloce. È cambiato il modo di vivere la musica, e con esso è cambiato anche il modo di intendere l’alta fedeltà.
Il concetto stesso di impianto stereo — due diffusori, una catena di elettroniche, un ambiente dedicato — è diventato qualcosa per pochi appassionati, spesso anagraficamente non più giovanissimi.
Il mondo corre verso la smaterializzazione. Noi, che costruiamo macchine pensate per rendere tangibile l’intangibile (le emozioni della musica), ci troviamo oggi a lottare contro un mercato che ha cambiato pelle.
Ma attenzione: l’hi-fi non è ancora morta. È viva, ma è un malato grave. E se non cambiamo rotta, se il settore non apre gli occhi, se non smettiamo di raccontare la favola del lusso estremo, ci vorrà poco a farla morire davvero.
Il problema è sotto gli occhi di tutti, ma sembra che il mercato finga di non vederlo. Oppure lo sa, ma dorme.


Prezzi senza senso e la grande illusione delle fiere
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’escalation che definire paradossale è poco. Diffusori da 500.000 euro, amplificatori da 100.000, giradischi che costano più di una villa.
Ma ha senso tutto questo? La risposta è no.
E lo dico con la franchezza di chi questo mondo lo vive da dentro. Perché la verità — che chiunque con un po’ di orecchio e di esperienza conosce bene — è che un sistema da un milione di euro non suona necessariamente meglio di uno da 20 o 30.000 ( spesso anche da 4000 € )ben progettato, ben assemblato e installato in un ambiente corretto. Anzi, a volte suona peggio.
E questa verità emerge in modo clamoroso nelle fiere. Chiunque le frequenti lo sa: stanze piene di elettroniche da mille e una notte che suonano... male. O, nella migliore delle ipotesi, in modo deludente rispetto alle aspettative.
Perché? Perché portare un sistema da milioni di euro in una stanza d’hotel è spesso un suicidio acustico. Eppure continuiamo a farlo. Il risultato? Critiche sui social, polemiche infinite, gente che si domanda — giustamente — se tutto questo non sia diventato più una fiera del lusso fine a sé stesso che un evento dedicato al suono.
E non è finita: la gente, davanti a queste cifre, scappa. Ma scappa sul serio. Parli di hi-fi da 100.000 euro e vedi solo sguardi che si abbassano, teste che si girano altrove.


Vintage: tra fascino e mito gonfiato
In questo contesto il vintage è tornato prepotentemente di moda. E lo capisco: il fascino degli anni d’oro dell’hi-fi è reale. Quelle elettroniche, quei giradischi, quei diffusori raccontano una storia. Parlano di un’epoca in cui l’audio era centrale nella vita delle persone.
Ma, lasciatemelo dire con chiarezza, il vintage è — per definizione — vecchio.
Sì, ci sono elettroniche d’epoca che suonano ancora magnificamente. Ma sono eccezioni. La verità è che il vintage porta con sé tutti i limiti tecnologici del passato:
  • Componenti fuori specifica.
  • Tecnologie superate.
  • Dinamica compressa rispetto agli standard moderni.
  • Rumore, distorsione, inefficienza.
Chi oggi racconta che il vintage “suona meglio” dimentica (o ignora) che esistono sistemi moderni che, al giusto prezzo, suonano dieci volte meglio del vintage. In termini di dinamica, controllo, trasparenza, pulizia, affidabilità.
Il vintage ha un fascino indiscutibile. Ma è un oggetto emozionale, non uno strumento di riferimento assoluto. Non bisogna confondere il valore affettivo e storico con il valore tecnico e musicale.


La grande illusione tecnologica
Il settore, però, ha risposto male a questa crisi. Invece di tornare all’essenza, ha rincorso la spettacolarizzazione. Cavi da decine di migliaia di euro, accessori che promettono miracoli acustici, elettroniche costruite più per stupire che per suonare.
Il problema è sotto gli occhi di tutti: il pubblico si sta stancando. Perché chi ha esperienza, chi ascolta con attenzione, sa che il suono non si compra con le cifre sul listino. Si costruisce con scelte intelligenti, con la conoscenza, con la cura dell’ambiente e dell’insieme.


Il mercato dell’usato: il nemico invisibile
A rendere la situazione ancora più critica c’è il mercato dell’usato. È diventato globale, facilissimo da navigare, e propone oggetti top di gamma di pochi anni fa a un terzo del prezzo originale.
Quando con 10.000 euro puoi comprare un amplificatore che ne costava 40.000 cinque anni fa, il nuovo diventa difficile da giustificare. A meno che non porti un reale, tangibile salto qualitativo. E purtroppo, troppo spesso, non è così.


Il futuro? Tornare all’essenza o morire
Siamo a un bivio. Le aziende dell’hi-fi high-end possono scegliere:
  • Continuare a inseguire il mercato del lusso fine a sé stesso, fino a quando la bolla scoppierà.
  • Oppure tornare all’essenza: costruire strumenti per emozionarsi con la musica. Con logica, con intelligenza, con attenzione più al risultato sonoro che all’ostentazione estetica.
Perché diciamocelo chiaramente: è possibile costruire sistemi da sogno con cifre assolutamente alla portata di moltissime persone. Non servono milioni. Tra i 3.000 e i 7.000 euro — investiti nel tempo, con intelligenza — si possono mettere insieme impianti che fanno tremare le gambe. Che regalano emozioni vere, autentiche e da  pelle d’oca.
Ed è incredibile come il mercato faccia finta di non capirlo. Perché i giovani oggi ascoltano molta più musica di quanta ne ascoltavamo noi all’epoca. Quando eravamo ragazzi avevamo quattro dischi, li passavano in radio , li compravamo e giravano sempre quelli. Oggi la varietà musicale è semplicemente infinita, accessibile in ogni momento.
E allora cazzo, com’è possibile che si faccia fatica a vendere un impiantino serio a un giovane, in un appartamento?
Ed è esattamente questa la filosofia che da sempre guida il mio lavoro con Eamlab: costruire elettroniche solide, affidabili, “toste” — come molti clienti le definiscono — capaci di prestazioni realmente fuori scala rispetto al loro prezzo. Senza compromessi, senza fumo negli occhi, senza marketing ingannevole. Solo sostanza. Solo suono. Solo emozione. E chi le ascolta, questo lo percepisce immediatamente.
Perché alla fine, questo dovrebbe essere il senso dell’alta fedeltà. Non il possesso fine a sé stesso. Non il lusso sterile. Ma l’emozione. La connessione profonda con la musica.
Se questo scompare, il nostro settore perde la sua ragione d’esistere.


Conclusione
Dopo quarant’anni in questo mondo, dopo aver progettato, ascoltato, vissuto ogni evoluzione del settore, sono convinto che il futuro dell’hi-fi passa da un ritorno all’autenticità.
Basta con le illusioni. Basta con la corsa al milione di euro. Basta con le fiere delle vanità.
Torniamo a parlare di musica. Di ascolto. Di emozioni. E costruiamo strumenti che servano a questo. Tutto il resto, alla fine, è solo rumore di fondo.



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