Opinioni & Editoriali
Pubblicato da Emanuele Pizzi in l'Hi-Fi e le generazioni di oggi · 20 Giugno 2025
Tags: hi, fi, alta, fedeltà, impianto, stereo, giovani, e, hi, fi, audiofilia, ascolto, musicale, amplificatori, diffusori, impianto, entry, level, musica, a, casa, cultura, musicale, eamlab, audiolab, rega, nad, cambridge, audio, atoll, editoriale, hi, fi, suono, di, qualità
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🎵 I Giovani Non Amano l’Hi-Fi? Falso. È Solo Una Questione di Accesso, Non di Emozione
Negli ultimi anni si è diffusa una convinzione apparentemente logica ma profondamente superficiale: “l’hi-fi non interessa più ai giovani”. La narrativa è semplice: lo smartphone ha sostituito l’impianto stereo, gli auricolari wireless hanno preso il posto delle cuffie da studio, e Spotify ha ucciso il piacere del vinile o del CD.
Ma siamo sicuri che sia davvero così?
O stiamo solo guardando il problema dalla parte sbagliata?
O stiamo solo guardando il problema dalla parte sbagliata?
Il Cuore dell’Hi-Fi: L’Emozione
Chiunque abbia mai ascoltato un buon impianto – con casse ben posizionate, un amplificatore adeguato, una sorgente pulita – sa che la musica assume un’altra forma. Non è solo “sentire”, è vivere il suono: lo spazio si apre, la voce ti sembra davanti, le percussioni ti arrivano dritte al petto.
E questo è un punto fondamentale: la vera hi-fi dà emozioni fisiche, profonde, tattili.
Ed è la stessa emozione che i giovani cercano – e trovano – nei concerti, nei festival, nei club. Basta vedere le file per un biglietto live, l’entusiasmo per i DJ set o le esibizioni di artisti dal vivo. L’impatto sonoro li coinvolge, li scuote, li fa ballare. Quello che sentono nello stomaco, quel basso che vibra nel petto, è la stessa logica che un impianto hi-fi ben progettato riesce a restituire in salotto, con eleganza e profondità.
Il Vero Problema: L’Accesso (Non la Volontà)
Quindi no, i giovani non sono disinteressati. Ma spesso sono esclusi.
Perché?
Costi elevati: un impianto anche solo "entry-level" può superare di gran lunga quello che un ventenne può permettersi.
Spazi ristretti: molti vivono in stanze condivise o piccoli appartamenti dove non si può mettere un impianto serio, né fare ascolti ad alto volume.
Mancanza di cultura accessibile: l’hi-fi è ancora comunicato in modo elitario, tecnico, distante. Un ragazzo che vorrebbe iniziare viene spesso respinto da tecnicismi, forum criptici e recensioni pensate per esperti.
Il risultato? Si rassegnano agli auricolari. Ma se potessero, molti cambierebbero domani.
I Giovani Amano il Suono – Quando Possono Sperimentarlo
La verità è che i giovani vogliono l’hi-fi. Lo vogliono se glielo fai ascoltare, se glielo fai toccare, se possono permetterselo. Nessuno rimane indifferente quando ascolta un impianto ben calibrato che riproduce Dark Side of the Moon o Random Access Memories come Dio comanda.
L’hi-fi non è morto. È solo chiuso in una stanza inaccessibile. Ma le nuove generazioni sono lì fuori, pronte ad entrare – a patto che si apra la porta.

Il Prezzo dell’Hi-Fi: Tra Passione e Follia
C’è anche da dire una cosa che in pochi hanno il coraggio di affrontare: molti prezzi nel mondo dell’hi-fi sono completamente fuori di testa. Sì, ci sono componenti che valgono ogni euro, costruiti con amore, progettazione, materiali nobili. Ma troppo spesso ci si imbatte in amplificatori da 10.000€, cavi da 2.000€, piedini antivibrazione dal costo di una vacanza a Bali.
Ora, è giusto che esista l’hi-end – ci mancherebbe – ma il problema è che la fascia medio-bassa è stata abbandonata.
E qui entrano in gioco anche i negozi fisici: molti non trattano più i marchi “economici” (che poi tanto economici non sono). Forse perché il margine è basso, forse per paura di non barcare il lunario. Ma così facendo si taglia fuori una fetta enorme di potenziali nuovi appassionati.
Sempre i Soliti (Rompi)coglioni?
L’impressione, in certi ambienti, è che si stia parlando sempre e solo agli stessi. I soliti clienti “stagionati”, che magari sanno tutto, discutono dei cavi per ore e poi non comprano mai nulla. Il settore ha bisogno disperato di nuova linfa, di giovani, di curiosi, di neofiti che si innamorano del suono come succedeva negli anni ’70.
Ma per farlo serve un cambio di mentalità:
più eventi dal vivo (anche informali),
più spazi di ascolto accessibili,
più contenuti su YouTube, TikTok, Instagram,
meno fumo e più sostanza.
L’hi-fi non può vivere solo nei forum tecnici o nelle fiere per addetti ai lavori. Deve scendere per strada, farsi ascoltare da chi oggi non sa ancora di volerlo.
La verità è dura, ma va detta: l’hi-fi continua a parlare sempre ai soliti. I clienti storici, esperti, polemici, poco inclini a cambiare. Ma se il settore non apre le porte ai nuovi, finirà per rimanere chiuso in una teca vintage.
Servono eventi semplici, ascolti guidati, contenuti online chiari, autentici, coinvolgenti. Meno fronzoli, più passione.
🎧 L’emozione che manca: il suono vissuto
Chiunque abbia ascoltato un vero impianto hi-fi sa che la musica cambia forma. Diventa spaziosa, fisica, vibrante. Ti circonda e ti prende allo stomaco, come un concerto. Non è una coincidenza: i giovani questo lo sanno. Lo cercano. Vanno ai live, ai festival, ai club. Vogliono sentirsi dentro la musica.
L’alta fedeltà può offrire questo. Ma oggi, purtroppo, viene presentata in modo freddo, distante, elitari
📼 Quando l’hi-fi era un pezzo di casa (e di vita)
Negli anni ’80 e ’90 l’hi-fi era parte integrante delle case. C’erano impianti stereo nei salotti, mensole piene di cassette e CD, mobili costruiti apposta per ospitare amplificatori e lettori. Non era una nicchia, era cultura popolare. E no, non era solo perché “non c’erano altre distrazioni”. La televisione c’era eccome. I videogiochi anche. Ma la musica aveva uno spazio sacro, e la qualità con cui si ascoltava era importante.
L’impianto non era solo un oggetto tecnico: era un elemento identitario, come il giradischi di papà o la torre Technics dello zio. Si andava nei negozi a fare ascolti. Si leggeva Suono, Audio Review, Alta Fedeltà. Si discuteva se fossero meglio le JBL o le AR, i Pioneer o i Sansui.
E oggi, cosa è cambiato?
Le case non sono poi tanto più piccole. I ragazzi non ascoltano meno musica – anzi, ne ascoltano di più.
È cambiato il modo in cui la musica viene proposta e vissuta.
Le case non sono poi tanto più piccole. I ragazzi non ascoltano meno musica – anzi, ne ascoltano di più.
È cambiato il modo in cui la musica viene proposta e vissuta.
Il problema non è lo spazio. Il problema è che non si racconta più quanto può essere emozionante sentire bene. L’impianto stereo non è più visibile, non è più raccontato. Si è perso nella nebbia del marketing digitale e delle soluzioni “estreme" , spesso e volentieri fredde
L’esempio giusto: chi fa hi-fi “con la testa e con il cuore”
Per fortuna, ci sono ancora marchi che resistono con coerenza. EAMLAB, ad esempio, è un nome italiano che sta conquistando una nuova generazione di audiofili: progettazione curata, costruzione solida, suono potente e trasparente, e soprattutto prezzi umani per ciò che offrono.
Insieme a loro, nomi come Audiolab, Rega, NAD, Cambridge Audio, Atoll continuano a proporre prodotti sinceri, ben suonanti, fatti per entrare nel cuore e non solo nel portafoglio. Sono aziende che progettano per emozionare, non per stupire con che lo ha più grosso
Le troppe pippe mentali: cavi da sogno, emozioni da incubo
Un altro ostacolo che allontana i nuovi appassionati?
L’invasione di fuffa travestita da “audiofilia”.
L’invasione di fuffa travestita da “audiofilia”.
Cavi da 2.000 euro il metro, supporti antigravitazionali per lettori CD, spray quantistici per i contatti, fusibili direzionali, basi in grafene lunare. Ogni mese nasce un nuovo orpello che promette di “aprire il suono”, “liberare la scena”, “srotolare i medi”…
La verità?
In un buon impianto ben assemblato, la differenza la fanno i componenti veri: l’accoppiamento tra amplificatore e diffusori, l’acustica della stanza, la qualità della registrazione.
Non il cavo rivestito in pelle di drago.
In un buon impianto ben assemblato, la differenza la fanno i componenti veri: l’accoppiamento tra amplificatore e diffusori, l’acustica della stanza, la qualità della registrazione.
Non il cavo rivestito in pelle di drago.
Queste ossessioni creano distanza, non cultura. Fanno sembrare l’hi-fi un hobby da iniziati, una setta per pochi eletti. Invece di attirare i nuovi curiosi, li scoraggiano.
L’hi-fi dovrebbe far emozionare, non far venire l’ansia da prestazione tecnica.
Il suono perfetto non esiste. Ma esiste il suono che ti coinvolge, ti prende allo stomaco, ti fa dimenticare tutto.
Il suono perfetto non esiste. Ma esiste il suono che ti coinvolge, ti prende allo stomaco, ti fa dimenticare tutto.
🧭 Tutto e subito non crea passione
È giusto che esistano impianti da diecimila, ventimila euro e oltre. L’hi-end ha un senso, un valore, una logica tecnica e spesso anche una bellezza estetica che affascina. Nessuno mette in discussione la qualità, né la libertà di chi può permetterseli.
Il problema è l’equilibrio nella comunicazione.
Nei social, nei forum, nei video YouTube, si parla quasi solo di questi impianti inarrivabili. Diffusori da 90.000€, streamer da 8.000€, cavi da fantascienza. L’impressione che si dà ai nuovi arrivati è che se non hai un impianto da boutique… non stai facendo “vero hi-fi”.
E invece no.
L’alta fedeltà si costruisce dal basso, non si compra tutta in una volta.
Si comincia con un amplificatore onesto, due buoni diffusori, una stanza sistemata con criterio. E da lì si cresce. Si impara. Si sperimenta.
È questo processo che crea la vera passione. È la fatica dolce della scoperta che rende ogni upgrade un passo emozionante.
Si comincia con un amplificatore onesto, due buoni diffusori, una stanza sistemata con criterio. E da lì si cresce. Si impara. Si sperimenta.
È questo processo che crea la vera passione. È la fatica dolce della scoperta che rende ogni upgrade un passo emozionante.
Tutto e subito può comprare la qualità, ma non costruisce il legame con il suono.
Il rischio di parlare solo di hi-end è che si crea distanza. Si scoraggia chi vorrebbe avvicinarsi con curiosità ma ha un budget limitato. E così si perde un potenziale appassionato, non per mancanza di interesse, ma per frustrazione.
